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Un'alterità costitutiva, essere una donna, un'alterità di appartenenza, essere ebree, è la traccia unificante di queste tre donne straordinarie che hanno segnato il percorso speculativo del secolo scorso. Un incrocio di tempi le pone di fronte al nazismo e all'orrore del male: su questo sfondo drammatico si innesta il loro discorso: per Hannah Arendt è la decostruzione di una filosofia separata dalla vita, dal legame sociale; per Simone Weil è l'inquieta e lirica ricerca di una trascendenza; per Edith Stein è la luminosa testimonianza della continuità originaria fra giudaismo e cattolicesimo. La loro opera è inscindibile dalla loro vita: il loro discorso si snoda nel simbolico del linguaggio, ma vibra della loro specificità femminile. È proprio al loro tratto di essere "altra" che Giuliana Kantzà fa riferimento; seguendo l'insegnamento di Jacques Lacan, individua la loro peculiarità di appartenenza sessuale: una donna è "non tutta" nel discorso, è, per struttura, contigua al godimento, aperta alle "vie del desiderio", pronta all'amore. Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein sono le voci alte di questa alterità femminile che conserva e trasmette l'irriducibile del desiderio: nella prima con la "natalità", "Puer nobis natus est", nella seconda con l'appassionata ricerca del bello, nella terza nella via della mistica. Voci che nella solitudine e nel silenzio dell'urlo contemporaneo fanno cenno alla donna, baluardo di un desiderio estraneo all'"avere".